domenica 30 dicembre 2018

Invito per una una riflessione comune, necessaria

Ascolto quello che si dice e leggo quello che si scrive della “tecnologia”, in un rimbalzo continuo di luoghi comuni e osservazioni miopi, frammisti a qualche intervento intelligente che si perde di solito nella confusione generale e ovviamente non passa, perché richiederebbe alla gente la fatica di pensare. Il panorama sembra sempre più desolante, al pari delle notizie quotidiane dalla politica (per non parlare delle discussioni su Facebook!), così che per alcuni giorni, approfittando delle vacanze, mi dirotto sulla maratona TV del Trono di Spade, che per anni mi ero ostinato a non guardare. Quando però il Drago non morto distrugge la Barriera spianando la strada all’armata sterminata e mostruosa degli Estranei allora è troppo, il culmine di angoscia, disperazione, pessimismo è raggiunto. Basta!
Vado a rivedermi i due video del laboratorio della scorsa primavera con i ragazzi della secondaria a Siena (della primaria ho già scritto qualcosa qui): il film Continuavano a chiamarlo Don Santino e il “documentario” correlato, gli incontri con i ragazzi, l’invenzione, la realizzazione, il backstage, l’incontro finale con l’organizzatore di produzione RAI che ci viene a trovare e i ragazzi gli parlano insieme come fossero colleghi.

Grandioso! Partecipano a ogni fase con estrema naturalezza, si dividono spontaneamente i ruoli, spesso scambiandoseli, si divertono e scherzano e fanno i buffoni, ma al momento di “lavorare” sono presenti i modo preciso e puntuale, attenti e precisi. E non solo agiscono d’istinto, ma concettualizzano con precisione. Meglio in questo caso, nei risultati e nella documentazione, di molti altri laboratori, ma in modo del tutto analogo, perché è così che abitualmente, regolarmente, rispondono i bambini e i ragazzi, che si tratti di video o computer, di teatro o storytelling, di insetti e ragni o monumenti antichi, o burattini. Così rispondono, nella mia esperienza, in diverse parti del mondo oggi come quarant’anni fa, perché gli umani non si evolvono e non cambiano affatto nei tempi frenetici voluti dal mercato!
Mi domando: dove sono quelle generazioni di mutanti, dipendenti dagli aggeggi tecnologici, persi in confuse realtà virtuali, con cui molti adulti disperano ormai di trovare canali di comunicazione? Dove sono la mancanza di attenzione, il bullismo, le difficoltà di relazione e di apprendimento?
Può essere - è una ipotesi, la butto lì, ma varrebbe la pena magari di ragionarci un poco – che semplicemente, quando invece di descrivere dal di fuori realtà che a forza di descriverle diventano enormi di parole e inaccessibili, dentro quelle realtà invece banalmente ci si entra e ci si sta, allora forse si verifica che sono molto più semplici, più vivibili, meno problematiche. Perché gran parte della difficoltà oggi non sta nella realtà stessa, ma nella nostra rassegnazione a non agire, a non prenderci la responsabilità di toccarla e modificarla, pure in una situazione tecnologica e sociale che oggettivamente darebbe ad ognuno di noi, proprio in questi ultimi anni, magari non individualmente, possibilità di azione che l’umanità mai nella storia aveva conosciuto.
Così propongo una piccola riflessione, osservando quello che per esempio a me succede. E invito gli amici, i colleghi, li invito di cuore a rispondermi, contestarmi, mandarmi anche quel paese, ma tenendo conto di quello che dico, per favore, e con argomentazioni solide. Cioè, io vedo delle prospettive e pongo delle domande, e per capire se sono tutte sciocchezze o illuminanti intuizioni, occorre rispondere a quelle domande!
Dunque, riepilogando: l’osservazione del mondo, o meglio della sua rappresentazione, attraverso i mezzi di comunicazione, la TV, la rete, le pubblicazioni a stampa e multimediali, propone oggi spesso situazioni sempre più intricate e disperanti, che ci rendono infelici e insicuri, esasperano le difficoltà e le tensioni. Quando il riferimento è a quella rappresentazione, anche i rapporti con le persone, in presenza o nelle piazze virtuali, sono difficili e problematici.


L’attività vissuta invece che per esempio vado a svolgere nel mondo, i laboratori nelle scuole, l’incontro con i colleghi durante i convegni e i festival, mi disegnano viceversa un panorama di solito piacevole e soddisfacente, dove le difficoltà esistono, ma sono piccole cose che non pregiudicano affatto il buon rapporto di fondo con persone, i cui comportamenti e azioni non corrispondono affatto a quegli schemi totalizzanti.
Ora, domanda buttata lì: perché mai la “rappresentazione”, nell’assegnare le stelline di gradimento al tempo presente, dovrebbe prevalere sull’esperienza reale e vissuta? Dove non ci siano guerre, fame, situazioni socialmente insostenibili o calamità naturali, davvero viviamo in un mondo così difficile e insolubile, o siamo noi che, gratuitamente, ci complichiamo le cose?
Questo è l’inizio di una riflessione complessa, che intendo sviluppare in modo adeguato, possibilmente non da solo. Si può incominciare con qualche commento qui a questo post, per costruire insieme poi qualcosa di più importante e completo.


continua... 

domenica 25 novembre 2018

I gilè gialli: la rete, la politica, la responsabilità

Stavo incominciando a scrivere queste righe quando sono successi i fatti di ieri a Parigi. Però il senso del ragionamento non cambia.
Da anni tanti parlano di “rete”, ma in pochissimi casi si va oltre la parole. Si fa una confusione tra il web, libero e aperto, e i social network come Facebook o Instagram, privati e commerciali; si subisce una digitalizzazione spesso macchinosa della pubblica amministrazione, dei servizi, della scuola, in cui la tecnologia è mortificata dall’approccio burocratico e miope di umani ignoranti; si scambia per partecipazione la presenza narcisistica e rissosa nelle discussioni on line di individui isolati gli uni dagli altri o raggruppati in rigide tifoserie contrapposte, che si gridano addosso e non si ascoltano, in una competizione continua, improduttiva e frustrante; si spaccia per “democrazia diretta” la politica improvvisata su piattaforme informatiche controllate non si sa come e non si sa da chi; si generalizzano certi comportamenti osservati in settori della popolazione, soprattutto i giovani, con descrizioni che sostituiscono e anzi escludono la comunicazione con i diretti interessati.
Credo che il problema principale, culturale, umano, politico, sia l’incapacità dei più, nelle valutazioni sul mondo e sulla vita, di tenere conto dell’insieme che sta intorno ai singoli episodi, di comprendere proprio, concettualmente, la rete in cui tutti ci muoviamo, di rapporti sempre più intrinsecamente legati, anche quando crediamo di essere e di fare fa soli.

Sull’argomento, sto scrivendo più diffusamente, ma qui vorrei sottolineare in particolare un aspetto, che emerge proprio in questi giorni con il movimento francese dei gilè gialli.
La rete globale ha in sé, intrinseco, un potere enorme. Può bastare una comunicazione veloce sui social network – con tutti i loro limiti, sono un mezzo efficacissimo per far viaggiare l’informazione per tutto il pianeta – e si può mettere in moto un movimento vasto e inarrestabile, la cui forza sta nella sua struttura orizzontale, cioè senza una direzione centralizzata, e per questo difficilissimo da contrastare.
Stefano Mancuso nel suo Plant Revolution fa l’esempio dei conquistadores spagnoli, che con piccolissimi eserciti conquistarono i potenti imperi di Aztechi e Incas, ma poi non furono in grado di sottomettere gli Apaches, le cui tribù non avevano un capo.
Una differenza non da poco è che la organizzazione orizzontale degli Apaches funzionava, cioè era un modo di essere delle loro comunità, mentre la mobilitazione orizzontale dei gilèt gialli è un fatto episodico, che si svolge in un tempo e rispetto ad obiettivi limitati e circoscritti. Non è – come si sarebbe detto un tempo - “organica” a un progetto, non c’è strategia, ma tutto si risolve in una rivendicazione, un grido collettivo: no agli aumenti del carburante, Macron dimettiti! Non a caso, nella protesta popolare di pancia subito si inserisce la destra estrema, che nelle rivolte umorali ci sguazza, così come trae vantaggi enormi dalla politica fatta con i tweet, in cui semplici slogan e parole d’ordine prendono il posto di analisi, visioni complessive, progetti di lungo periodo.
Dato un mondo sempre più complesso e dipendente da ogni forma di tecnologia, in una popolazione di tecnologia sostanzialmente e programmaticamente analfabeta (che ne conosce solo la superficie brillante e ormai facilissima da “usare”, anche per gli analfabeti!) si insinuano la pretesa, l’illusione, l’ostinazione di voler dare risposte sempre più semplici. E allora la realtà facilmente va in corto circuito, con le conseguenze politiche, sociali, ambientali nefaste che conosciamo, comunità e nazioni disconnesse che si ubriacano dell’immagine della connessione, e drappelli di guru digitali che descrivono le meraviglie che con la tecnologia si potrebbero fare, senza accorgersi che quasi nessuno in effetti le fa!

La prima domanda è: dato il fatto comunque indiscutibile che quando le persone si mettono davvero in rete ne può scaturire una forza immane, il carattere episodico e “di destra” dei movimenti che ne nascono è una dato strutturale e intrinseco alla rete digitale stessa, oppure dipende anche dal fatto che questa forza immensa è maneggiata da analfabeti, cresciuti individualisti e passivi con il mercato e la televisione, e che quindi possono usare la rete al massimo per tentativi?
L’altra domanda è: sarebbe possibile, aumentando il livello di consapevolezza civica e tecnica della popolazione, avere dei movimenti in rete “rallentati”, che non scoppino solo su fatti contingenti, ma funzionino in maniera continuativa su problemi più strutturali e riescano a produrre una vera elaborazione collettiva. E questa elaborazione, potrebbe avere una forza paragonabile a quella messa in campo in questi giorni dai gilè gialli?

L’immagine di una forza orizzontale permanente in rete fa paura, perché davvero potrebbe cambiare tutto: la rete è potere! E gli umani, a cui tutto sommato non piace molto cambiare, dopo aver digerito a mala pena nei decenni passati la sbornia da automobile e televisione e essere ancora in piena sbornia da telefonini, istintivamente sembrano rifiutare soprattutto l’altra faccia del potere, cioè la responsabilità.
Che responsabilità sia sinonimo di seccature credo però sia uno stereotipo abilmente suggerito dal pensiero unico mercantile, che ci vorrebbe tutti consumatori passivi e impotenti. In realtà, privati di responsabilità, perdiamo il controllo delle nostre vite, da cui sempre più inquietudini, nevrosi, violenza. E non a caso proprio i bambini e i ragazzi, che ancora non si sono rassegnati a venire espropriati del gusto della vita, quando vengono caricati di qualche responsabilità, cioè si sentono degni di fiducia e di ascolto, di solito reagiscono con attenzione, partecipazione, entusiasmo!