giovedì 20 aprile 2017

È ora di scegliere: cultura multimediale o analfabetismo "digitale"?

Mi sono imbattuto ieri in un tutto sommato allucinante quanto acceso dibattito (ovviamente in Facebook, e dove se no? Ogni nostro pensiero ormai vale solo se porta soldini a Zuckerberg!) sul cosiddetto "pensiero computazionale", da cui l'unica cosa chiara era che ognuno aveva in mente qualcosa di diverso e, in definitiva, non sapevamo di che cosa stavamo parlando. Però tanti si sentivano di intervenire, fior di intelligenze impegnante a ragionare, discutere, polemizzare sul nulla.
Uno istintivamente pensa: ecco come mai in questo mondo, con il massimo di strumenti di comunicazione della storia, le persone in realtà comunicano sempre meno e le soluzioni 4.0 ai problemi del pianeta sono i muri per fermare i migranti, le super bombe, gli uomini forti e quant'altro.
Pimelia bipunctata, fotografata a Susa, Tunisia, il 26 marzo 2017
Al di là delle frasi a effetto (suggestioni, che però da un po' la gente, orfana di certezze, di fatto prende sempre più alle lettera) pensavo che se invece di rincorrerci a citare Pinco e Pallo quando per far ridere gli amici al bar hanno usato questo o quel termine, facessimo funzionare un po' di più i cervelli nostri, mettendo insieme quel tanto che sappiamo, la questione sarebbe evidente (e qualcuno mi risponda qui, nei commenti di questo blog, per favore, se pensa che stia sbagliando): i computer digitali non pensano, ma eseguono istruzioni o comandi pensati dagli umani che li hanno programmati. Punto! Chi sa anche solo qualcosina di programmazione, possibilmente quella testuale, che non fa finta di essere altro (magari perché si è deciso di chiamarla “coding”, che sa subito di fregatura, come il “jobs act” o la “spending review!), anche i bambini che hanno provato una volta a usare il linguaggio LOGO sanno che la sintassi di queste istruzioni è estremamente noiosa e pedante, perché a queste macchine bisogna dire tutto, ma proprio tutto, nei minimi particolari, perché di loro sono stupide e non sanno affatto collegare le cose e metterle insieme come facciamo noi.
Questo è il significato ultimo della parola “digitale: scomporre ogni possibile operazione in elementi sempre più elementari, fino a ridurre tutto, testi, suoni, immagini, mappe concettuali, videogiochi, ricerche in rete, dati meteorologici e relative istruzioni d'uso a una raccolta immensa di 0 e 1, sì è no, che se l'umano ha pensato bene ci restituiscono il meraviglioso software che tutti i giorni usiamo, con pochi clic di mouse o tocchi di dita. Dove le interfacce di PC e telefonini non sono affatto “digitali”, ma analogiche, adattate cioè all'uso istintivo e non naturalmente pedante degli esseri umani, adulti e bambini (ma con i tablet se la cavano bene anche i gatti!)

Un tempo si diceva che la cultura dei nostri giorni è multimediale. Parola giustissima, che subito fa ragionare su quel mettere insieme il testo dei libri e dei giornali tradizionali, con le fotografie, la televisione, il cinema, la radio, gli stimoli visivi, sonori, interattivi degli aggeggi digitali che usiamo tutti i giorni. E Roberto Maragliano aveva coniato per i bambini nati negli ultimi decenni la definizione bellissima di “esseri multimediali”, a sottolineare come le nuove generazioni, essendo cresciute dentro un mondo in cui il sapere, la cultura e la comunicazione non hanno più un sistema di trasmissione privilegiato, come era un tempo il libro, naturalmente e senza problemi potrebbero vivere in modo attivo e consapevole la società dell'informazione. E magari potrebbero farlo non solo da consumatori, ma da produttori e protagonisti, man mano che a tecnologia mette a disposizione nuovi strumenti sempre più facili, potenti ed economici.
Porre l'accento sul carattere multimediale della mondo di oggi, permetterebbe anche di fare piazza pulita con tutta una serie di contrapposizioni generazionali assurde e prive di senso, che fanno male ad adulti e bambini, perché sarebbe evidente che in questo questa cultura multimediale tutti ci siamo nati, nella nostra società occidentale, almeno a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Cioè, i cinquantenni di oggi (e anche molti nati prima), come i bambini che nascono adesso, fanno ugualmente parte della società dell'informazione, anche se a causa di strumenti culturali inadeguati spesso hanno il problema di mettere d'accordo i libri che hanno letto con la televisione che hanno visto e con i telefonini che hanno comunque sempre in mano.
Invece – e altro senso non trovo che quello di creare confusione, del vecchio “divide et impera” per cui mentre noi ci incasiniamo su una infinità di sciocchezze e non ci proviamo neanche a usare insieme la potenza di una tecnologia che ormai è nelle mani di tutti, quelli che oggi comandano la politica e il mercato continuano a fregarci! - oggi si spreca a sproposito, la parola “digitale”, coniando una serie di definizioni che in realtà sono solo slogan vuoti e non significano nulla: “nativi digitali”, “cultura digitale”, “cittadinanza digitale”... ???
Tutte formulazioni che, invece che chiarire, alimentano all'infinito equivoci e confusione, invece che unire dividono (ma non è la stessa cosa che sta succedendo fuori nel mondo, in politica? Sarà un caso?)
In una prospettiva multimediale, così come è naturale per i bambini (che da sempre semplicemente prendono gli elementi della propria realtà e ci giocano), scavare per terra con le mani alla ricerca di insetti e bacherozzi, disegnare con i colori a dita, leggere un libro di carta, fare un video con il telefonino e comunicare via web con gli amici che stanno i Cina, sono semplicemente momenti diversi di una stessa realtà, che è corporea, fisica, e anche “digitale”, perché no, ma è semplicemente la realtà in cui si vive, in cui tutti gli elementi vanno “naturalmente” al loro posto, senza che qualcuno dall'esterno ci venga a forzare, a dire come dobbiamo fare e come dobbiamo pensare, facendoci percepire il nostro disagio come un senso di colpa.
Cultura multimediale, cultura della società dell'informazione, cultura dell'inclusione. Troppo facile?

Sto leggendo un bellissima raccolta di Sherlock Holmes, 3 euro e 60 in versione originale, un inglese su cui tutto sommato riesco a non impiantarmi. Per cui traduco al volo uno scambio di battute:
«Voi vedete tutto!»
«Io non vedo più di voi, ma mi sono allenato a prestare attenzione a quello che vedo!»